GIOVANNI PALMERI

NAT

Dire di Nat con poche parole non è facile!

Parlare poi dell’uomo, che di fronte al suo simile, dotato di un mostruoso enorme naso, non osa alzare gli occhi verso quella “proboscide”, per non sottolineare ulteriormente l’infortunio della natura, è solo parlarne a metà.

La sua anima sassone, è solo una faccia di un volto bifronte.

Ci dice solo una parte di quel rigore tutto nordico, che comprime la naturale curiosità umana dentro le regole di una comunità in cui Nat è cresciuto.

Non ci spiega però , perchè lo stesso accoglie poi Dundra, l’inserviente indiano, nientemeno che al circolo degli Ufficiali americani, luogo d’elite, riservato ad uomini solo d’elite. Eppure sono quelle stesse regole che hanno marcato questo siculo-americano ad essere quello che è!

L’uomo delle contraddizioni, dei colori forti, dove i mezzi toni non trovano posto.

Dove la scelta della chiarezza anche nei modi compositivi delle sue fatiche narrative vien su delineata con cura. Già dal lontano 47, infatti, dall’incontro con i surrealisti a New York, respinge quei poeti biasimando il loro linguaggio oscuro, difficile, spesso ermetico, che li rende segregati ed inaccessibile a molti. Nat dunque uomo diviso, diviso fra “Due Mondi” come scriverà più in là!

Un uomo spaccato a metà, che ha disperatamente cercato di far convivere l’equilibrato, distaccato rigore della metà dell’uno, con l’irruenza, e la forte contraddittoria carica emotiva latina, dell’altro.

L’affannosa, tormentata ricerca di una unità, da questi frammenti, mi sembra abbiano segnato l’identità dell’uomo e dell’artista.

Di uomo, quando già alla nascita ho dovuto dividere le premure della madre col fratello gemello! A quella stessa natura così prodiga, nel farlo bello e piacente, forse Nat non ha perdonato la parsimonia del ritorno delle attenzioni materne delle quali il fratello gemello ha reclamato la metà. Con impareggiabile eleganza descrittiva, superba freschezza, l’artista ha saputo trasmetterci le sensazioni vissute nella sua adolescenza: le folli corse in macchina lungo le strade di Strafford Springs nel Connecticut, con quel rubacuori di zio Joe quando veniva a prenderli per le vacanze estive; i primi incontri scontri amorosi con Teresa la sua ragazza greca. E perchè no, quell’insopprimibile, penetrante odore di aglio pestato nel mortaio di legno, quando il nonno nello scantinato di casa insegnava loro a gustare le sue celebrate lumache.

Così, a poco a poco, probabilmente senza averne ancora piena coscienza, Nat scopriva gli odori ed i sapori. L’altrà metà è quella non ordinata, ancora selvaggia, non soggiogata dalle regole dell’impero di sua maestà britannica prima e del democratico Lincoln dopo. Il lato cioè fantasioso, insofferente, ma al tempo stesso dominante e schiavo, servile e possessivo latino, mediterraneo che i suoi geni prepotentemente mantengono dentro il suo D.N.A.

BYE BYE AMERICA

Ѐ sicuramente il suo capolavoro!

Un inno alla gioia!

I momenti nostalgici, soffocati dalla puntuale descrizione dei particolari, evocano immagini compiutamente definite e tentano maldestramente di gestire lontane appetitose emozioni.

Nat, affascinato, affascinante, narratore narciso, tratta con estrema cura i suoi personaggi. Sente il bisogno di scavarli dentro. I tratti fisionomici su cui si sofferma sembrano a volte solo pretesti per interrogarli. Scoprire da dove provengono e dove andranno.

La struggente malinconia del ricordo di Seattle, ovvero la vigilia di Natale del 45, quando finita la guerra i due fratelli sono finalmente a casa.

Quella superba indimenticabile notte, con la figlia del sindaco, finita poi in tribunale davanti al giudice.

L’atteggiamento a volte sornione, a volte beffardo quando non decisamente provocatorio, che si compiace di dissacrare il reverenziale ossequioso rispetto ai cerimonieri istituzionali di turno vien fuori nell’incontro party dell’episodio del vescovo.

Nat sembra spogliare i suoi personaggi per metterne a nudo l’essenza. Vuole eliminare quella scorza che altri o loro stessi si sono messi addosso. Spinge la sua cuoriosità fino al limite estremo. Nessuno tentativo di ammorbidire qualche tratto a qualcuno, magari solo per enfatizzare una storia a lui cara, o colorire col gusto del narratore un particolare di secondo piano per renderlo più passabile al suo amante lettore. Non risparmia perciò nemmeno il suo eroe, il Cesare guerriero che ritorna a casa vincitore della guerra, ovvero se stesso.

Mi è piacevole dunque ricordare l’episodio della stella di bronzo, quando a Mactila, un’isola del Pacifico, fu incaricato di difendere un piccolo aeroporto con solo otto uomini, tra cui un Gurka indiano armato di spada. Ebbene, il campo fu assaltato da uno sparuto gruppo di giapponesi, tre in tutto, che tentarono il colpo di mano ma furono passati a fil di spada dall’indiano mentre lui, il comandante, terrorizzato, è lì per terra nascosto, paralizzato dalla paura. Quell’episodio gli valse la croce di bronzo. Pronando lo scrittore all’uomo, in accordo a quanto anzidetto, egli lo descrive con la stessa crudezza con cui l’ha vissuto. La fragilità dell’uomo, così come realmente è, che pronto a morire cerca il suo aereo per fuggire, nascondendosi tra le nuvole, vieni fuori a poco a poco.

Anche qui, nessun tentativo di nasconderla, di minimizzarla, di riscattarla magari in una forma più morbida. Allo scrittore certo non mancherebbero i modi, ma l’uomo si rifiuta!

Non può ingannare il lettore, non può ingannare se stesso. Per quanto avvilente, questa scoperta non gli fa gettare la spugna. Non rappresenta un invito ad abbandonare il campo di battaglia né da guerriero né tanto meno, e ciò che più conta, da essere umano. L’insaziabile curiosità dello scrittore interviene e lo sostiene. Nat inizia così un percorso di spietata esplorazione di questa forse inattesa fragilità. Non risparmia nulla al lettore, nulla all’uomo. Dopo averci preso per mano tra le pagine seducenti ed appassionate del suo “Bye Bye America” finisce così per inchiodarci tra le corde della sua, ritengo, più amara, sconvolgente, tormentata, devastante fatica narrativa.

DUE MONDI

Là, come lui, anche noi vorremmo uscire al più presto!

Ma il lettore, che lo ha seguito prima non se la sente adesso di abbandonarlo, mentre è in difficoltà, e così finisce per soffrire insieme a lui quelle intollerabili, inumane condizioni di vita.

La crudezza descrittiva non è dunque casuale! È deliberamente scelta, volutamente proposta. Chissà, forse un tentativo di espiazione di colpe che si sono accumulate e stratificate nel tempo diventando un carico insostenibile per il suo fragile essere. Se si avrà dunque la forza di seguirlo fino in fondo, si scoprirà con meraviglia, che la sicurezza di quell’uomo senza Dio, che dalla nascita ha celebrato solo se stesso, non esiste ormai più!

Al suo posto troviamo ora invece i brandelli di un corpo e di un’anima che finalmente trovato se stessa.

Di questi “Due Mondi” che hanno espresso così efficacemente la sua identità, ed in un certo qual modo segnato pure la sua sortye, Nat si era perdutamente innamorato!

Solo verso la fine del suo avventuruoso e splendido viaggio si è accorto che non erano tutto, ma solo una parte nascosta dell’uomo e dello scrittore.

L’uno e l’altro cercavano dunque un “Terzo Mondo”, quello che, né le strade di Springfield Afford, né la macchina di zio Joe, né gli odori pungenti dell’aglio, né lo scantinato del nonno, potevano ormai più dargli.

Quella tanto desiderata, inebriante, serena pace che placa dalle fondamenta il suo indomabile spirito inquieto Nat finalmente l’ha trovata. Il suo amato lettore è diventato dunque il confessore, quel prete da cui sempre è fuggito e che adesso gli manca.

A me che l’ho conosciuto tardi, ma che ho avuto la gioia e la sofferenza di seguirlo fino all’ultimo attimo, non resta che ringraziarlo per quello che ci ha regalato e di proclamare compiaciuto che ne valeva abbondantemente la pena.

22 Ottobre 2005

Giovanni Palmeri

         

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